giovedì 5 giugno 2025

mio cuggino

 

Arriva finalmente nelle librerie una nuova avventura di Max Fridman — agente segreto, assente dalla ribalta da oltre un quindicennio — questa volta spedito dall’autore nell’Austria del ’38 con la missione di espatriare clandestinamente i suoi cugini viennesi per scampare alla persecuzione nazista degli ebrei conseguente all’Anschluss. Per ammissione dello stesso Giardino, l’idea di partenza era proprio quella di raccontare la condizione del profugo politico, figura ricorrente di tutti i tempi, calandola in questo caso nel contesto storico proprio del personaggio principale. Tale proposito è sicuramente ben riuscito, grazie alla capacità narrativa e alla meticolosità della ricostruzione storica alla quale siamo abituati. Purtroppo, questa esposizione piana dei fatti nel loro sviluppo lascia poco spazio al consueto intreccio spionistico, coi suoi colpi di scena e ribaltamenti di ruolo dei personaggi, che sono sempre stati il succo della saga di Fridman, e ne fanno una lettura dal côté un po’ troppo didascalico.

Rizzoli Lizard, 216 pagine, 20 euri

sabato 26 aprile 2025

il nonno

 

Film interessante per la prima mezzoretta, durante la quale il gioco consiste nel cercare di distinguere i reali personaggi e gli ambienti dalle allucinazioni di un Anthony Hopkins affetto da demenza senile (peraltro, l’espediente di alternare lo sguardo oggettivo con quello soggettivo risale quantomeno alla Signorina Else di Schnitzler, ma il suo referente diretto viene probabilmente da “Rughe” di Paco Roca, 2007, dove l’idea e il contesto sono coincidenti). Per il resto non si introduce nessun altro elemento che faccia progredire la storia in una direzione inattesa perciò il tutto si riduce ad una pornografia della malattia. Buone le premesse, ma in definitiva: bocciato.

2020, basato sulla pièce teatrale di Florian Zeller, sceneggiato da Zeller e Christopher Hampton, regia di Florian Zeller, musiche di Ludovico Einaudi, con Anthony Hopkins, Olivia Colman e altri

sabato 18 gennaio 2025

viva lu latinu

 

I pregi fondamentali di questo bellissimo libro sono almeno un paio: il primo sta nella ricostruzione dettagliata della trafila, dotta o ereditaria, che ha portato il centinaio di lemmi latini presi in considerazione, e i loro derivati, a diventare termini comuni del vocabolario italiano attuale e, in concomitanza, di quello delle altre lingue romanze, riportando stralci letterari soprattutto di epoca medioevale, periodo storico nel quale la trasfigurazione si è attuata in maniera piú massiccia, nell’ambito del passaggio dal latino al volgare. I passi riportati sono soprattutto di Dante, Boccaccio, Jacopone da Todi, ma anche di altri autori piú o meno anonimi, se non del tutto tali: apprendiamo difatti che — e qui sta il secondo pregio — in quel periodo di transizione esistevano una quantità di “volgarizzamenti” di testi latini: tale traduzione si attuava nei confronti delle opere piú importanti, oppure degli statuti comunali, o dei trattati particolarmente significativi per il pubblico che non intendeva l’idioma aulico. Per ragioni di spazio, la risalita etimologica al greco e al proto-indoeuropeo è affrontata solo sporadicamente, ma va detto che non era la materia sulla quale questo libro si voleva concentrare.

Carocci, 2024, 220 pagine, 18 euri

giovedì 9 gennaio 2025

uno di quattro

 

Elena Ferrante — o chi per essa — nell’“Amica geniale” intraprende una strada di piú ampio respiro rispetto ai due romanzi precedenti, proiettandone l’oggetto, ovvero la saga familiare e circondariale, sull’orizzonte di ben quattro volumi, che le/gli hanno richiesto oltre dieci anni di lavoro. La narrazione si fa ovviamente piú distesa, e comunque riconosciamo alcune caratteristiche della sua scrittura, quali la sottigliezza dell’analisi dei sentimenti, oppure la presenza dell’episodio scabroso disturbante e, dal lato strutturale, un uso — nel caso in questione limitatissimo — dell’ellissi, che si riduce all’agnizione del titolo, per la quale scopriamo solo alla fine del libro che l’amica “geniale” non è quella che abbiamo sembre presupposto essere bensí, insospettabilmente, la voce narrante stessa. Continuiamo ad avere delle riserve sulla effettiva identità sessuale dell’apocrifa autrice, come pure della sua napoletanità, giacché il contesto sociale in cui il romanzo è ambientato potrebbe corrispondere ad un qualsiasi altro luogo del meridione d’Italia non specificabile, e gli scarni riferimenti partenopei si mantengono inevitabilmente sul general-generico, dai quali crediamo non si possa desumere un’effettiva conoscenza profonda di chi scrive della topografia della città, la cui descrizione si mantiene a livelli abbastanza superficiali, tali da rendere la lettura meno ostica, quasi da cartolina in previsione di una traduzione estera del romanzo, e di un eventuale successo presso il pubblico, quale effettivamente si è verificato.

2011, Edizioni e/o, 336 pagine, 19 euri

mercoledì 1 gennaio 2025

mafia ebraica

A cavallo tra gli anni Novanta e i primi anni Duemila si tentò la strada del graphic novel in formato libro, che è piú piccolo del classico taglio comic-book. Probabilmente si trattava di una strategia per aggirare una certa diffidenza nei suoi confronti e far entrare il fumetto, sotto mentite spoglie, nelle librerie: oggigiorno il tema è completamente superato dal fatto che in libreria si trovano tranquillamente fumetti a grandezza naturale e persino over-size, fino a veri e propri mattoni che per leggerli ci vuole la gru. Di esempi di fumetti in formato-libro ne esistono diversi, sia statunitensi che italiani: per la produzione antecedente si potevano utilizzare storie disegnate all’origine con un livello di dettaglio minore — che non soffrissero troppo della riduzione delle dimensioni — e infatti il caso migliore risulta essere stato quello dell’adattamento di Mazzucchelli per “Città di vetro” di Paul Auster. Anche Zero Calcare, ultimamente ripubblicato nella collana tascabile, si presta all’uopo; Bacilieri, invece, si era cimentato in un poliziesco su misura, con testi di non ricordo chi. Tra le storie USA pensate appositamente per questo formato spicca senza dubbio “Jew Gangster” (2005) di Joe Kubert, un grafo-romanzo di (de)formazione ambientato insolitamente (per noi) nella New York del periodo della Depressione durante il quale, oltre a quella italiana, operava anche una mafia ebraica. Il protagonista è un giovane, figlio di immigrati ebrei polacchi (come l’autore, ndr), del quale vengono costruite in maniera convincente le motivazioni sociali che lo portano ad aderire alla malavita. Anche il deuteragonista è descritto in maniera molto realistica, quasi tratto di peso da un film noir anni Quaranta, e nell’edizione originale si esprime in uno slang che purtroppo va del tutto perso nella traduzione italiana. I personaggi di contorno sono un po’ troppo “da fumetto”, nel senso deteriore del termine, ma in compenso il tutto è valorizzato nello splendido stile dei disegni del grande Joe Kubert.

Planeta/DeAgostini, 144 pagine in bianco e nero, 10 euri

sabato 21 dicembre 2024

cimentarsi col Cimento

 

La collana “Dentro la musica” della Carocci, i cui volumi sono in corso di pubblicazione sotto la direzione di Giovanni Bietti, può essere considerata una continuazione ed estensione con altri mezzi della rubrica radiofonica “Lezioni di musica”, in onda da almeno un paio di decennii su RadioTre, nella quale si analizzano volta per volta brani di musica strumentale o vocale, sviscerandone le qualità ed il come e perché. In questa occasione Alberto Bologni, violinista e docente al Conservatorio di Lucca, si dedica alle celebri Quattro Stagioni di Vivaldi, descrivendole passo passo (o battuta per battuta) in relazione ai sonetti che le accompagnano, e a come questi ultimi proiettino sulla scrittura effetti sonori, timbrici, mutazioni tonali, etc., spesso utilizzando un linguaggio idiomatico proprio dello stile musicale dell’epoca, al quale Vivaldi ha di certo dato a sua volta un contributo innovativo determinante. La disamina dei brani viene naturalmente contestualizzata con una rapida biografia del Prete Rosso e con un quadro riassuntivo del mondo musicale veneziano barocco, dei rapporti con istituzioni importanti quali l’Ospedali della Pietà ed il teatro d’opera, per i cui approfondimenti rimandiamo a studi piú corposi, come quello abbastanza recente di Egidio Pozzi, al quale l’autore stesso di questo libro si è esplicitamente riferito.

Carocci, 130 pagg., 14 euri

giovedì 31 ottobre 2024

l'altra metà del cielo in una stanza

 

Il lato interessante del celebre saggio della Woolf non sta tanto nella denuncia della condizione femminile — già sviluppata fin dal secolo precedente da parte di figure eminenti quali la Wollstonecraft, Harriet Taylor o Anna Kuliscioff — quanto nell’idea di letteratura propria della scrittrice inglese che viene manifestata, la quale presuppone un affrancamento dalle preoccupazioni materiali e psicologiche legate alla propria situazione economica e sociale, il cui scopo sarebbe quello di conseguire una qualità di scrittura imparziale — che lei stessa qualifica come “androgina”, e noi aggiungeremmo “apollinea” — dall’alto della quale lo scrittore possa assumere una posa (e una prosa) che non riveli né il suo genere di appartenenza né intimi sentimenti di rivalsa verso chicchessia, che tradirebbero una non perfetta equidistanza tra egli stesso ed i fatti narrati. Qualche psicanalista potrebbe indagare se il legame tra tale ideale letterario e l’oscillazione omo-eterosessuale della Woolf fosse mono- o bidirezionale, ma noi preferiamo astenerci.

1929, Feltrinelli, trad. di L. Bacchi Wilcock e Rodolfo Wilcock, 160 pagg., 11 euri

mercoledì 25 settembre 2024

linguaccia


Un libro scritto con intelligenza e competenza per ridimensionare un paio di miti d’oggi riguardanti la lingua italiana, ovvero se sia utile accogliere vocaboli stranieri o meno, e se veramente il maschilismo che affiora dal nostro idioma sia esclusivamente retaggio della società patriarcale. La risposta al primo quesito è affermativa, anche quando si tratta di accogliere parole la cui accezione è già rappresentata da termini italiani, ché comunque i vocaboli prestati aggiungono una connotazione diversa rispetto ai corrispondenti autoctoni. Nel secondo caso invece viene spiegato che l’utilizzo prevalente del maschile è determinato anche da un principio di economia funzionale, dato che mancando il genere neutro l’evoluzione ha conservato il maschile quale genere meno “marcato” rispetto al femminile. Detto questo, si incoraggia la declinazione in –a delle professioni, per esempio, ma si boccia risolutamente sia l’asterisco che la schwa in fine di parola, ammettendoli solo temporaneamente quale sollecitazione provocatoria a porsi delle domande sul tema.

Einaudi, 2024, 144 pagg., 13 euri

lunedì 5 agosto 2024

storia di un impiegato

Per la seconda volta il buon Tito Faraci si cimenta con un “manuale” per sceneggiatori di fumetti. A differenza della prima occasione, in questa piú recente si può permettere — dal pulpito acquisito della cattedra della Scuola Holden — di inserire una parte introduttiva autobiografica dove racconta i primi passi della sua carriera (abbastanza banali) se a qualcuno dovessero interessare. Le istruzioni tecniche fornite, invece, sono niente di piú di quelle basilari (piani, campi, controcampi, etc.) e se si vuole saperne di piú, va da sé, bisogna iscriversi alla scuola baricchiana. Salviamo volentieri la sezione in cui si spiegano i rapporti tra sceneggiatore e disegnatore, e i criteri per la stesura di un soggetto, entrambi rivolti a sciogliere le problematiche relative alla controparte dell’autore sulla ricezione corretta delle idee e del materiale di lavoro. Peccato che diverse pagine vadano sprecate per questioni superficiali — fissazioni del bravo impiegato, diciamo — per cui in Topolino si può dire cosí e non cosà, idem in Tex, Zagor e Diabolik, oppure su considerazioni sulle onomatopee o sui versi pronunciati dai personaggi (Gulp! Yuk yuk, Bang! con il punto esclamativo o senza, e baggianate del genere). Libro per i soli fans di Faraci, se mai ve ne fossero, o per chi desideri entrare quale semplice ingranaggio della produzione seriale all’italiana, ma che la voglia di fare fumetti te la fa un po’ passare.

Feltrinelli, 2022, 224 pagg., 18 euri

venerdì 26 luglio 2024

giro giro tondo

 

Contrariamente alla vulgata che definisce “Tutti giú per terra” — l’esordio letterario di Culicchia — un romanzo di formazione, troviamo conferma che non sia tale proprio leggendo l’introduzione dell’autore stesso, aggiunta in occasione del cambio editoriale da Garzanti a Einaudi, nella quale confessa che il libro fu il risultato di un collage di diversi racconti all’epoca scartati dalla pubblicazione in un’antologia curata dal Tondelli, nei quali i protagonisti erano diversi, e furono ricondotti unitariamente al Walter di TGPT pregiudicando in tal modo qualsiasi cambiamento interiore logico. Il ventenne protagonista, difatti, in una Torino di fine anni Ottanta, passa da una situazione (marginale) all’altra — la lettera per il militare, l’università, il servizio civile, la discoteca, la libreria, etc. — senza alcuna evoluzione psicologica, mantenendosi a galla in un mondo precario, del quale — questa volta forse a ragione — il libro viene considerato una prima attestazione letteraria generazionale, tanto da diventare modello per altri autori (sospettiamo Zerocalcare, fra gli altri), magari attraverso il film che ne fu tratto.

Prima edizione: Garzanti, 1994. Attualmente c/o Einaudi, 128 pagg., 11 euri