lunedì 5 agosto 2024

storia di un impiegato

Per la seconda volta il buon Tito Faraci si cimenta con un “manuale” per sceneggiatori di fumetti. A differenza della prima occasione, in questa piú recente si può permettere — dal pulpito acquisito della cattedra della Scuola Holden — di inserire una parte introduttiva autobiografica dove racconta i primi passi della sua carriera (abbastanza banali) se a qualcuno dovessero interessare. Le istruzioni tecniche fornite, invece, sono niente di piú di quelle basilari (piani, campi, controcampi, etc.) e se si vuole saperne di piú, va da sé, bisogna iscriversi alla scuola baricchiana. Salviamo volentieri la sezione in cui si spiegano i rapporti tra sceneggiatore e disegnatore, e i criteri per la stesura di un soggetto, entrambi rivolti a sciogliere le problematiche relative alla controparte dell’autore sulla ricezione corretta delle idee e del materiale di lavoro. Peccato che diverse pagine vadano sprecate per questioni superficiali — fissazioni del bravo impiegato, diciamo — per cui in Topolino si può dire cosí e non cosà, idem in Tex, Zagor e Diabolik, oppure su considerazioni sulle onomatopee o sui versi pronunciati dai personaggi (Gulp! Yuk yuk, Bang! con il punto esclamativo o senza, e baggianate del genere). Libro per i soli fans di Faraci, se mai ve ne fossero, o per chi desideri entrare quale semplice ingranaggio della produzione seriale all’italiana, ma che la voglia di fare fumetti te la fa un po’ passare.

Feltrinelli, 2022, 224 pagg., 18 euri

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