lunedì 25 giugno 2018

another great art&craft swindle


BRESCIA – Musei di Santa Giulia: “Tiziano e la pittura del Cinquecento tra Venezia e Brescia”. Quella che veniva spacciata per una grande mostra si rivela in realtà, tanto per cambiare, una grande fregatura. La ragione scientifica (chiamiamola cosí) sarebbe stata quella di dimostrare l’influenza che l’artista di Pieve di Cadore avrebbe esercitato, nei suoi sporadici rapporti con la città di Brescia, nei confronti dei pittori locali del primo Cinquecento (in realtà si considerano solo il Moretto, il Romanino e il Savoldo). Purtroppo, prima fregatura, il principale contributo tizianesco (davvero eclatante, bisogna riconoscerlo) è costituito dalla Pala Averoldi, ospitato dalla chiesa dei Santi Nazaro e Celso, ma che lí rimane, ed è presente in mostra solo in forma virtuale — quella ormai in voga nel sistema delle mostre-evento del tipo ‘Klimt-experience’ — mediante proiezioni gigantografiche, animate e scomposte, con sottofondo musicale. Oltre a ciò, di Tiziano c’è veramente poco: quadri giovanili, o poco rilevanti, escludendo solo un bel ritratto di un tale. Aggiungiamo che anche i pittori bresciani influenzati sono rappresentati generalmente con opere minori, perlopiú di piccolo formato destinate al privato, e tranne rari casi anche di scarsa qualità. Se poi andiamo alla ricerca dei presunti caratteri stilistici infusi dal Maestro ai suoi epigoni, stante la scarsa rilevanza degli esempi portati da un lato e dall’altro, facciamo veramente fatica a capire i termini della questione, che pure senz’altro ha delle basi abbastanza fondate, e possiamo concludere che questa mostra non aveva ragion d’essere.

lunedì 4 giugno 2018

la vita l’è düra


Milano – Palazzo Reale: “Dürer e il Rinascimento, tra Germania e Italia”. Non fai in tempo ad elogiare una mostra meneghina — quella su Caravaggio, chiusa qualche mese fa — che subito dopo l’offerta culturale milanese non manca di ritornare ai (ne)fasti della sua consueta approssimazione. Il titolo dell’attuale mostra in corso a Palazzo Reale, come al solito, trae in inganno: quella che viene spacciata per una dimostrazione pubblica esaustiva delle influenze assimilate dal Dürer in seguito al suo celebre viaggio di formazione in Italia del 1505, si rivela in realtà un baccanale in larga parte incentrato sul suo lavoro di incisore: un coté di tutto rispetto, ci mancherebbe, ma che avrebbe meritato una occasione a sé stante per essere compreso appieno. Viceversa, il lavoro pittorico è rappresentato da pochi esemplari di reale importanza, e da molte opere di seconda scelta (soprattutto ritratti, o mezzibusti di santi, etc.), e anche i maestri lombardo-veneti che il norimberghese avrebbe saccheggiato sono testimoniati da opere minori (del Bellini, per esempio, o il “San Girolamo”, incompiuto, di Leonardo, buttato lí con poca creanza). Oltretutto, il filo logico che sta alla base della mostra si va via via perdendo man mano che si prosegue nel percorso espositivo, tanto che nell’ultima sala ti trovi l’anziana signora del Giorgione (“Col tempo”) e per un attimo ti chiedi cosa diavolo ci stia lì a fare.