mercoledì 27 agosto 2025

er diritto romano

 

Un viaggio attraverso la storia della nascita e determinazione di quello che viene definito Diritto Romano, la sua trasformazione dopo la fine dell’impero, il recupero nell’età medievale allo scopo di avvalersi di un quadro normativo generale vòlto a superare la parcellizzazione delle corporazioni comunali, il riemergere carsico nell’età moderna nel corso dei cambiamenti di paradigma sociali ed economici (rivoluzione industriale, rivoluzione francese, liberalismo, ecc.), la cui narrazione si ferma ad inizio Novecento, domandandosi quanto esso sia ancora adeguato a circoscrivere gli stravolgimenti operati dalla globalizzazione e dalla immaterialità dell’economia. Il libro di Capogrossi è piuttosto prolisso e ripetitivo, non entra mai nel merito e rimane sempre ad un livello generale, ma dalla sua lettura ricaviamo un paio di nozioni importanti che a noi profani sfuggivano. La prima: il recupero medievale dei testi giuridici classici precede di un secolo quello dell’omologo recupero culturale e artistico, da Giotto, Dante & company in avanti, che determinerà l’Umanesimo e il Rinascimento. Ciò è illuminante, e tuttavia non ci stupisce, giacché spesso i grandi cambiamenti culturali scaturiscono da fattori pratici (si pensi all’invenzione della scrittura da parte dei Sumeri, che in origine non era altro che una forma di contabilità). La seconda nozione, forse nota agli specialisti ma che — beata ignoranza — sfuggiva a noialtri, riguarda la nascita del giusnaturalismo, sorto in opposizione proprio al diritto positivo che è il tema del libro, dopo la scoperta dell’America e il conseguente sfruttamento coloniale delle persone e delle risorse del nuovo continente e di quello africano, che poneva l’attenzione sui diritti umani inalienabili degli altri popoli.

il Mulino, 2023, 260 pagg., 18 €

lunedì 4 agosto 2025

la fame

Il titolo italiano un po’ strambo nasconde un piú prosaico “The Hunger” (la fame) che — sullo sfondo dei primi anni Ottanta ai quali data la pellicola — non può non far pensare all’astinenza da eroina e, di conseguenza, all’Aids, la temibile patologia allora agli esordi, passata per via ematica e sessuale che, in questo caso, trova la sua via di trasmissione trasposta nei morsi e negli amplessi della vampira Miriam. Ben confezionato dal debuttante Tony Scott (fratello del vecchio Ridley), futuro regista di cult movie quali “Top Gun”, il film è guastato da una debolezza di fondo della trama un po’ da romanzo horror di serie B, mentre il lato esistenziale amore-morte-vita eterna, qui trattato molto superficialmente, confluirà filosoficamente nell’altrettanto vampiresco “The Addiction” di Abel Ferrara, cosí come il glamour della coppia Sarandon-Deneuve lo ritroveremo in “Mulholland Drive” di David Lynch (forse abbiamo visto troppo pochi film per permetterci agganci di questo tipo, tuttavia...).

1983, regia di Tony Scott, sceneggiatura di Ivan Davis e Michael Thomas (tratto dal romanzo di Whitley Strieber, 1981), con Catherine Deneuve, Susan Sarandon, David Bowie e altri

mercoledì 30 luglio 2025

Quasi come Dumas...

 

Vent’anni dopo i fatti, il buon Pisanò si dedica alla narrazione in soggettiva degli ultimi giorni della RSI, con le truppe fasciste ridotte in Valtellina, assediate dai partigiani, nell’illusoria attesa dell’arrivo del Duce. Nel suo mondo all’incontrario i partigiani sono i cattivi, mentre lui si considera il buono, fedele alla patria e ammettendo tra le sue colpo “solo” quella di aver effettuato dei rastrellamenti (senza entrare nel dettaglio che questi rastrellamenti furono attuati nei confronti di ebrei italiani, spediti poi nei campi di concentramento). Il lato interessante di questo memoir picaresco sta nella guerra vista da vicino, sliding doors continue che fanno la differenza tra la morte e la vita, la situazione caotica del carcere di San Vittore a fine aprile ’45, etc.

2016 (1964), il Saggiatore, 308 pagine, 18 euri


giovedì 5 giugno 2025

mio cuggino

 

Arriva finalmente nelle librerie una nuova avventura di Max Fridman — agente segreto, assente dalla ribalta da oltre un quindicennio — questa volta spedito dall’autore nell’Austria del ’38 con la missione di espatriare clandestinamente i suoi cugini viennesi per scampare alla persecuzione nazista degli ebrei conseguente all’Anschluss. Per ammissione dello stesso Giardino, l’idea di partenza era proprio quella di raccontare la condizione del profugo politico, figura ricorrente di tutti i tempi, calandola in questo caso nel contesto storico proprio del personaggio principale. Tale proposito è sicuramente ben riuscito, grazie alla capacità narrativa e alla meticolosità della ricostruzione storica alla quale siamo abituati. Purtroppo, questa esposizione piana dei fatti nel loro sviluppo lascia poco spazio al consueto intreccio spionistico, coi suoi colpi di scena e ribaltamenti di ruolo dei personaggi, che sono sempre stati il succo della saga di Fridman, e ne fanno una lettura dal côté un po’ troppo didascalico.

Rizzoli Lizard, 216 pagine, 20 euri

sabato 26 aprile 2025

il nonno

 

Film interessante per la prima mezzoretta, durante la quale il gioco consiste nel cercare di distinguere i reali personaggi e gli ambienti dalle allucinazioni di un Anthony Hopkins affetto da demenza senile (peraltro, l’espediente di alternare lo sguardo oggettivo con quello soggettivo risale quantomeno alla Signorina Else di Schnitzler, ma il suo referente diretto viene probabilmente da “Rughe” di Paco Roca, 2007, dove l’idea e il contesto sono coincidenti). Per il resto non si introduce nessun altro elemento che faccia progredire la storia in una direzione inattesa perciò il tutto si riduce ad una pornografia della malattia. Buone le premesse, ma in definitiva: bocciato.

2020, basato sulla pièce teatrale di Florian Zeller, sceneggiato da Zeller e Christopher Hampton, regia di Florian Zeller, musiche di Ludovico Einaudi, con Anthony Hopkins, Olivia Colman e altri

sabato 18 gennaio 2025

viva lu latinu

 

I pregi fondamentali di questo bellissimo libro sono almeno un paio: il primo sta nella ricostruzione dettagliata della trafila, dotta o ereditaria, che ha portato il centinaio di lemmi latini presi in considerazione, e i loro derivati, a diventare termini comuni del vocabolario italiano attuale e, in concomitanza, di quello delle altre lingue romanze, riportando stralci letterari soprattutto di epoca medioevale, periodo storico nel quale la trasfigurazione si è attuata in maniera piú massiccia, nell’ambito del passaggio dal latino al volgare. I passi riportati sono soprattutto di Dante, Boccaccio, Jacopone da Todi, ma anche di altri autori piú o meno anonimi, se non del tutto tali: apprendiamo difatti che — e qui sta il secondo pregio — in quel periodo di transizione esistevano una quantità di “volgarizzamenti” di testi latini: tale traduzione si attuava nei confronti delle opere piú importanti, oppure degli statuti comunali, o dei trattati particolarmente significativi per il pubblico che non intendeva l’idioma aulico. Per ragioni di spazio, la risalita etimologica al greco e al proto-indoeuropeo è affrontata solo sporadicamente, ma va detto che non era la materia sulla quale questo libro si voleva concentrare.

Carocci, 2024, 220 pagine, 18 euri

giovedì 9 gennaio 2025

uno di quattro

 

Elena Ferrante — o chi per essa — nell’“Amica geniale” intraprende una strada di piú ampio respiro rispetto ai due romanzi precedenti, proiettandone l’oggetto, ovvero la saga familiare e circondariale, sull’orizzonte di ben quattro volumi, che le/gli hanno richiesto oltre dieci anni di lavoro. La narrazione si fa ovviamente piú distesa, e comunque riconosciamo alcune caratteristiche della sua scrittura, quali la sottigliezza dell’analisi dei sentimenti, oppure la presenza dell’episodio scabroso disturbante e, dal lato strutturale, un uso — nel caso in questione limitatissimo — dell’ellissi, che si riduce all’agnizione del titolo, per la quale scopriamo solo alla fine del libro che l’amica “geniale” non è quella che abbiamo sembre presupposto essere bensí, insospettabilmente, la voce narrante stessa. Continuiamo ad avere delle riserve sulla effettiva identità sessuale dell’apocrifa autrice, come pure della sua napoletanità, giacché il contesto sociale in cui il romanzo è ambientato potrebbe corrispondere ad un qualsiasi altro luogo del meridione d’Italia non specificabile, e gli scarni riferimenti partenopei si mantengono inevitabilmente sul general-generico, dai quali crediamo non si possa desumere un’effettiva conoscenza profonda di chi scrive della topografia della città, la cui descrizione si mantiene a livelli abbastanza superficiali, tali da rendere la lettura meno ostica, quasi da cartolina in previsione di una traduzione estera del romanzo, e di un eventuale successo presso il pubblico, quale effettivamente si è verificato.

2011, Edizioni e/o, 336 pagine, 19 euri

mercoledì 1 gennaio 2025

mafia ebraica

A cavallo tra gli anni Novanta e i primi anni Duemila si tentò la strada del graphic novel in formato libro, che è piú piccolo del classico taglio comic-book. Probabilmente si trattava di una strategia per aggirare una certa diffidenza nei suoi confronti e far entrare il fumetto, sotto mentite spoglie, nelle librerie: oggigiorno il tema è completamente superato dal fatto che in libreria si trovano tranquillamente fumetti a grandezza naturale e persino over-size, fino a veri e propri mattoni che per leggerli ci vuole la gru. Di esempi di fumetti in formato-libro ne esistono diversi, sia statunitensi che italiani: per la produzione antecedente si potevano utilizzare storie disegnate all’origine con un livello di dettaglio minore — che non soffrissero troppo della riduzione delle dimensioni — e infatti il caso migliore risulta essere stato quello dell’adattamento di Mazzucchelli per “Città di vetro” di Paul Auster. Anche Zero Calcare, ultimamente ripubblicato nella collana tascabile, si presta all’uopo; Bacilieri, invece, si era cimentato in un poliziesco su misura, con testi di non ricordo chi. Tra le storie USA pensate appositamente per questo formato spicca senza dubbio “Jew Gangster” (2005) di Joe Kubert, un grafo-romanzo di (de)formazione ambientato insolitamente (per noi) nella New York del periodo della Depressione durante il quale, oltre a quella italiana, operava anche una mafia ebraica. Il protagonista è un giovane, figlio di immigrati ebrei polacchi (come l’autore, ndr), del quale vengono costruite in maniera convincente le motivazioni sociali che lo portano ad aderire alla malavita. Anche il deuteragonista è descritto in maniera molto realistica, quasi tratto di peso da un film noir anni Quaranta, e nell’edizione originale si esprime in uno slang che purtroppo va del tutto perso nella traduzione italiana. I personaggi di contorno sono un po’ troppo “da fumetto”, nel senso deteriore del termine, ma in compenso il tutto è valorizzato nello splendido stile dei disegni del grande Joe Kubert.

Planeta/DeAgostini, 144 pagine in bianco e nero, 10 euri

sabato 21 dicembre 2024

cimentarsi col Cimento

 

La collana “Dentro la musica” della Carocci, i cui volumi sono in corso di pubblicazione sotto la direzione di Giovanni Bietti, può essere considerata una continuazione ed estensione con altri mezzi della rubrica radiofonica “Lezioni di musica”, in onda da almeno un paio di decennii su RadioTre, nella quale si analizzano volta per volta brani di musica strumentale o vocale, sviscerandone le qualità ed il come e perché. In questa occasione Alberto Bologni, violinista e docente al Conservatorio di Lucca, si dedica alle celebri Quattro Stagioni di Vivaldi, descrivendole passo passo (o battuta per battuta) in relazione ai sonetti che le accompagnano, e a come questi ultimi proiettino sulla scrittura effetti sonori, timbrici, mutazioni tonali, etc., spesso utilizzando un linguaggio idiomatico proprio dello stile musicale dell’epoca, al quale Vivaldi ha di certo dato a sua volta un contributo innovativo determinante. La disamina dei brani viene naturalmente contestualizzata con una rapida biografia del Prete Rosso e con un quadro riassuntivo del mondo musicale veneziano barocco, dei rapporti con istituzioni importanti quali l’Ospedali della Pietà ed il teatro d’opera, per i cui approfondimenti rimandiamo a studi piú corposi, come quello abbastanza recente di Egidio Pozzi, al quale l’autore stesso di questo libro si è esplicitamente riferito.

Carocci, 130 pagg., 14 euri

giovedì 31 ottobre 2024

l'altra metà del cielo in una stanza

 

Il lato interessante del celebre saggio della Woolf non sta tanto nella denuncia della condizione femminile — già sviluppata fin dal secolo precedente da parte di figure eminenti quali la Wollstonecraft, Harriet Taylor o Anna Kuliscioff — quanto nell’idea di letteratura propria della scrittrice inglese che viene manifestata, la quale presuppone un affrancamento dalle preoccupazioni materiali e psicologiche legate alla propria situazione economica e sociale, il cui scopo sarebbe quello di conseguire una qualità di scrittura imparziale — che lei stessa qualifica come “androgina”, e noi aggiungeremmo “apollinea” — dall’alto della quale lo scrittore possa assumere una posa (e una prosa) che non riveli né il suo genere di appartenenza né intimi sentimenti di rivalsa verso chicchessia, che tradirebbero una non perfetta equidistanza tra egli stesso ed i fatti narrati. Qualche psicanalista potrebbe indagare se il legame tra tale ideale letterario e l’oscillazione omo-eterosessuale della Woolf fosse mono- o bidirezionale, ma noi preferiamo astenerci.

1929, Feltrinelli, trad. di L. Bacchi Wilcock e Rodolfo Wilcock, 160 pagg., 11 euri