martedì 24 aprile 2018

Mangàsia


MONZA – Villa Reale. “Mangàsia” è una mostra che, prima di approdare in quel di Monza, è stata preceduta da uno straordinario battage pubblicitario, dovuto sia alla sua precedente esposizione nella Capitale, sia ai vantati referenti internazionali del suo concept. In realtà, all’atto pratico della visita non si può non rimanere un po’ delusi nel constatare che gli standard elevati che ci si attende siano tali, nei fatti, eventualmente solo rispetto al decadente mondo del fumetto, soprattutto quello italiano. Complice infatti il percorso labirintico della sede Reale, poco adatto ad essere utilizzato come spazio espositivo, e ad un allestimento dalla qualità discontinua, ci si trova in balia della frammentarietà e di un’atmosfera da rigattiere, che sembra raccogliere sia cose ottime che paccottiglia, anche se bisogna riconoscere che le “didascalie” del materiale esposto sono sempre molto precise. È positivo invece l’intento di ecumenismo temporale e spaziale, ovverossia quello di raccogliere un sacco di roba solitamente non disponibile agli occhi italici, che consente una panoramica (a partire dagli ormai abitudinari antecedenti ottocenteschi di Hokusai e compari) che va dagli inizi del secolo scorso ai giorni nostri, e che, oltre ai notissimi manga giapponesi (con tavole di Tezuka, Taniguchi e molti altri, ma manca un gigante come Ryoichi Ikegami, a dimostrazione comunque che l’esaustività sia tutt’altro che perseguita), oltre ai manga, dicevamo, si trovano esempi di fumetti di tutta l’area asiatica, dal Pakistan all’Indonesia, che attestano le piú svariate influenze stilistiche. Soprattutto fa piacere ritrovare i fumetti delle Filippine (che per un certo periodo furono reperibili anche nelle edicole di Milano), per confermare l’impressione avuta tempo fa del fatto che quella filippina sia una vera e propria scuola a sé stante, con disegnatori dallo stile molto uniforme, mutuato dai comics americani degli anni Cinquanta, e che ha trovato modo di sdebitarsi con i suoi ascendenti tramite il celebre Ernie Chan, filippino-americano, che per anni inchiostrò (e raramente pure disegnò) le storie americane di Conan il Barbaro.

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