mercoledì 30 marzo 2022

quaderni ucronici

 

Inutile cercare nella suddetta graphic (journalism) novel informazioni illuminanti sull’odierno conflitto russo-ucraino, come c’eravamo illusi. Il buon Igort, nel suo reportage raccolto e disegnato intorno al 2010, si limitava a descrivere una plumbea Ucraina post-sovietica, trascrivendo le testimonianze di qualche anziano del loco che perlopiú gli raccontava dell’Holodomor staliniano, che causò la morte per fame di milioni di ucraini, colpevoli di non voler lasciare la condizione di piccoli proprietari terrieri e coltivatori per passare alla collettivizzazione agricola sovietica. Al nostro narratore sfuggiva del tutto l’altra pagina nera nazionale, quella di Babi Jar, ovvero il collaborazionismo ucraino con il nazismo nel perpetrare la strage della comunità ebraica locale, e gli anni post-staliniani vengono raccontati per sommissimi capi. Senonché, in seguito alle rivoluzioni del 2014, il Nostro si è sentito in obbligo di redigere un’appendice, che è stata aggiunta per l’appunto in una seconda edizione del libro, riguardante la guerra nel Donbass: nel mostrarci casi esemplari di soldati delle due parti opposte che vivono una guerra per entrambi priva di senso, il Tuveri vuole forse consegnarci il suo messaggio pacifista, che è tale nel migliore dei casi, ma non sbaglieremmo a definirlo qualunquista, buono per tutte le stagioni, data l’assoluta mancanza di elementi per poter giudicare il perché e il percome di quel conflitto. Ma che politica, che cultura: sono solo dei fumetti, direbbe quello là.

Oblomov edizioni, 2020, 192 pagg. a colori, 20 euri

sabato 19 marzo 2022

attaccati al tram

 

L’ennesima fatica cinematografica di Woody Allen — ispirata a “Un tram chiamato desiderio” — narrava la storia di una benestante signora newyorkese che, diventata vedova e caduta in disgrazia, si trasferiva a Frisco dalla sorella proletaria, coinvolgendola nella sua instabilità esistenziale. Lo sviluppo della trama, tipicamente da commedia americana, è reso giusto un filo piú interessante dall’avvicendamento delle due linee temporali — quella presente e quella del passato che ha condotto al presente — di modo che le ragioni di fondo della storia vengano dispensate gradualmente durante lo svolgimento e, convergendo in una ellissi, determinano il finale.

2013, scritto e diretto da Woody Allen, con Cate Blanchett, Alec Baldwin e altri

mercoledì 2 marzo 2022

the post

 

“Il posto” va considerato come il vero e proprio esordio cinematografico di Ermanno Olmi, giacché il precedente “Il tempo si è fermato” — risalente a tre anni prima — altro non era che un’estensione in chiave narrativa dei documentari che l’Ermanno realizzava abitualmente per conto della propria azienda (la Edison). L’aspetto interessante consiste nell’apparente contiguità allo stile allora in voga (ci riferiamo al tardo neorealismo e al tema dell’incomunicabilità caratteristica di Antonioni), ma — ironicamente — queste scelte formali erano dettate non tanto, o non solo, da un’adesione alle poetiche in questione, quanto da una necessità di produzione, da un lato (il budget per il film era minimo, e quindi gli attori presi dalla strada corrispondevano soprattutto ad una necessità economica) e dall’altro da una vera e propria rappresentazione dei fatti (la scena irrisolta del finale, con la ragazza che non si presenta alla festa — la quale rievoca il tema dell’assenza tipico di diversi film del regista ferrarese — è sicuramente una evenienza realmente accaduta, dato che, a detta dello stesso Olmi, la sceneggiatura è fondata largamente sulla biografia dell’autore all’epoca dei fatti narrati).

1961, regia, soggetto e sceneggiatura di Ermanno Olmi, con Loredana Detto (futura consorte olmiana) e Domenico Cantoni