venerdì 22 gennaio 2021

te l'avevo detto, figliolo

 

Libercolo che mette nero su bianco le voci radiofoniche trasmesse durante una o due puntate di “Uomini e Profeti” nelle quali il compianto Paolo De Benedetti — intervistato colloquialmente dalla Gabry Caramore — ci illuminava sul piccolo libro ebraico dei Pirqè Avot, che raccoglie i detti sapienziali che la tradizione attribuisce a vari maestri vissuti nei secoli a cavallo dell’era volgare. Pronunciati non da sacerdoti ma da rabbini che avevano come prima occupazione un lavoro normale, per la maggior parte si tratta di motti dalla spiegazione abbastanza semplice — come quelli del libro biblico dei Proverbi — ma a volte si fanno enigmatici, controintuitivi o carichi di quel fuoco tipico del misticismo islamico o cristiano medievale.

p.s.: scopriamo incidentalmente che l’idea della resurrezione dei corpi non era farina del sacco di Gesú: era infatti moneta comune presso i Farisei, il famigerato gruppo politico-religioso ebraico, che deve la sua pessima fama a posteriori per il fatto che i vangeli furono scritti molto tempo dopo gli eventi narrati: era perciò mutato il contesto rispetto a cento-duecento anni prima.

Morcelliana, 2011, 84 pagg., 10 euri


“Riscaldati pure al fuoco dei sapienti ma stai attento alla loro brace per non scottarti. Poiché il loro morso è il morso di una volpe, la loro puntura è la puntura di uno scorpione, il loro sibilo è il sibilo di un serpente e tutte le loro parole sono come carboni ardenti.”

“Stai attento a un precetto lieve come a uno grave, perché tu non sai quale sarà la ricompensa dei precetti.”

“Bello è lo studio della Torà insieme a un’occupazione mondana, poiché la fatica di ambedue fa dimenticare il peccato, ma ogni studio della Torà che non sia accompagnato da un lavoro, va a finire che vien meno e trascina a peccato.”

“Non spetta a te portare a termine il lavoro, ma non sei nemmeno libero di sottrartene.”

mercoledì 6 gennaio 2021

un americano a roma

 


In una scena di “Tommaso”, il protagonista — alter ego di Abel Ferrara — afferma di avere in mente un remake della “Dolce vita”; in verità già quello che stiamo vedendo è una specie di libera reinterpretazione di “Otto e mezzo”. Il tema centrale è infatti ancora una volta la crisi creativa ed esistenziale di un regista cinematografico ma, mentre Fellini ci proiettava in un contesto fantasioso e spettacolare — paradossalmente gravido di potenziali idee per numerosi altri film — in questo caso seguiamo Dafoe nelle situazioni piú ordinarie della vita quotidiana, tanto personali e vicine al vero da venirgli affiancate quali partners la vera moglie e figlioletta di Ferrara. Naturalmente, trattandosi delle circostanze di una personalità artistica, che cerca di ambientarsi in una città diversa dalla sua New York, e perdipiú in fase di disintossicazione da droga e alcool, le attività parallele si allargano in situazioni meno consuete, quali una sorta di teatro relazionale corporeo, il corso di lingue o la psicoterapia di gruppo, dove il nostro può sfoggiare sé stesso in occasioni piuttosto bukowskiane, diciamo.

2019, scritto e diretto da Abel Ferrara, con Willem Dafoe, Cristina Chiriac e Anna Ferrara