domenica 17 maggio 2020

buono ma non troppo


Torna opportunamente in circolazione, questa volta presso le edicole, il libro del dott. Silvestri, pubblicato ignaramente l’anno scorso con un titolo che è stato necessario cambiare perché in piena pandemia di corona virus sarebbe risultato grottesco e largamente piú paradossale e provocatorio di quanto si intendesse all’origine. Il Silvestri ci informava un anno fa su molte nozioni che sono venute alla ribalta in questa sventurata occasione, tipo che normalmente non è il virus ad uccidere ma, molto piú spesso, gli effetti nefasti provocati da una sproporzionata risposta immunitaria e, dato che il virus non ha lo scopo di annientare l’individuo che lo ospita, è per questo che solitamente i problemi nascono quando, a causa di uno spillover, esso si autotrasporta da una specie animale, in cui convive pacificamente, ad un’altra — quella umana, in questo caso — che è impreparata ad accoglierlo (e tante altre informazioni interessanti, anche piuttosto approfondite dal punto di vista scientifico). La bontà del virus, alla quale si riferisce il titolo originario, non è però questa appena accennata, anche perché il livello di analisi biologica, microscopico, ci porta in uno scenario al di là del bene e del male, per cosí dire. L’aspetto buono dei virus, invece, in particolare dei retrovirus, come l’HIV, del quale l’autore è specialista, è innanzitutto che il nostro DNA sarebbe composto in buona parte da retrovirus integrati nella sequenza di molecole che lo compongono, risultato dell’addizione avvenuta nel corso dell’evoluzione, e proprio per questa peculiarità di associarsi all’acido nucleico, i retrovirus possono venir utilizzati per intervenire a livello genetico, sostituendo geni malati responsabili di patologie ereditarie. L’unico neo di questo interessante libro è lo stile, che alla divulgazione scientifica vuole associare una parte “for dummies”, all’americana (il professore lavora infatti presso l’università di Atlanta), che invece di aiutare a comprendere gli argomenti per analogie piú o meno azzeccate e spiritose, come si vorrebbe proporre, non fa altro che distrarre l’attenzione.

sabato 2 maggio 2020

Karl Marx il giovane


Forse in nome dell’internazionalismo proletario, “Il giovane Karl Marx” è un prodotto partecipato da autori ed attori della provenienza piú varia (germanica, albionica, francese, ...) suggellato dalla regia di un direttore haitiano. Si narra l’incontro tra i giovani Marx ed Engels che, carambolando tra la Germania, Parigi, Manchester, Londra, etc., sviluppano le loro idee politiche a partire dal milieu socialista-utopico ed hegeliano del periodo, fino ad approdare alla Lega dei Giusti, un’associazione di stampo proletario-biblico-rivoluzionario, che indirizzeranno piú precisamente nella direzione del comunismo scientifico, e per la quale scriveranno il celeberrimo “Manifesto del Partito Comunista”, che voleva appunto essere una sorta di vangelo ad uso del movimento. Il film è ben fatto, con strizzatine d’occhio al pubblico meno engagée, e restituisce un buon quadro d’insieme della situazione sociale e dei personaggi che animavano la politica mitteleuropea di metà Ottocento, ma inevitabilmente l’intento enciclopedico tipico del bio-pic gli fa assumere le sembianze di un album di figurine, dove spuntano fuori proprio tutti (Proudhon, Bakunin, perfino Gustave Courbet, etc.). Comunque un film necessario.

2017, diretto da Raoul Peck, interpretato da varii attori perlopiú sconosciuti