sabato 21 novembre 2020

spellbound

 


Forse uno dei primi film di Hitchcock in cui figura la celebre trovata, saccheggiata varie volte anche da Dario Argento — tanto da diventare un cliché — del soggetto dalla personalità deviata da un trauma infantile rimosso. In effetti, la sua collocazione qui è abbastanza appropriata, perché l’ambientazione verte proprio su una clinica psichiatrica e i suoi dottori e pazienti, circostanza che rende possibile corredare il discorso con un po’ di concetti da quattro soldi tratti dalla psicanalisi. Per quanto riguarda gli attori, la Bergman, già da tempo affermata, affianca con sicurezza un Gregory Peck ancora quasi esordiente.

1945, diretto da Alfred Hitchcock, sceneggiatura di Ben Hecht (tratta da un romanzo di Francis Beeding), musica di Miklos Rozsa, scenografia del “sogno” di Salvador Dalì, con Ingrid Bergman, Gregory Peck, Michail Cechov (nipote dello scrittore russo) e altri

sabato 14 novembre 2020

Maus minore

 

Il Franzaroli, attualmente vignettista di satira politica presso il Fatto Quotidiano, rispolvera una vecchia storia raccontatagli fin da bambino dalla nonna e dal babbo, ovvero le vicissitudini familiari sul finire della Seconda Guerra Mondiale, tra partigiani romagnoli e friulani e italiani sfrattati dall’Istria e Dalmazia. In sostanza, anche per lo stile analogamente caricaturale, si tratta di una versione nostrana del Maus di Spiegelman, certamente in tono minore (minorissimo, diremmo) sia per la fondamentale assenza di tragicità che fortunatamente per loro — ma sfortunatamente per la narrazione — ha caratterizzato l’epopea franzaroliana, sia per la rappresentazione un po’ sbrigativa che se ne dà (infatti la lettura fila via liscia, fin troppo liscia). Assume comunque valore documentario, piú che altro per il lato Jugoslavo che non gode di grande letteratura, fumettistica e non, qui da noi, sia per i noti motivi politici che vi stanno dietro, sia per pigrizia intellettuale.

Pop Edizioni, 136 pagine, 8 euri e mezzo

domenica 18 ottobre 2020

wow

 

Allo Spazio Wow Fumetto di Milano in Viale Campania si celebrano gli 80 anni dei supereroi Marvel (inizialmente Timely) sulla scorta del modus operandi della celebrazione dei 70 anni di Tex di un paio d’anni fa, ovvero copie originali d’epoca degli albi a fumetti, grande sfoggio di riproduzioni, oggettistica, e un tot di tavole originali recuperate presso vari collezionisti privati. Dispiace che, come nella fattispecie texana, anche qui i visitatori siano veramente scarsi. Si ripercorrono le tappe della casa editrice che, già pubblicando materiale di varia natura (fumetti e romanzi economici) si riconverte ai supereroi per sfruttare l’onda del successo di Superman e Batman, nati nel 1938-39 presso la DC Comics. In una prima tornata, l’editore sforna i primi personaggi: la Torcia Umana, Namor, Capitan America, per mano di gloriose firme già allora all’opera, ovvero Jack Kirby, Joe Simon, Bill Everett, e altri, e perfino Stan Lee che, appena diciassettenne, aveva già cominciato la sua carriera come redattore. Dopo un periodo di crisi negli anni Cinquanta, in cui la Timely (che a questo punto si chiama Atlas) abbandona i supereroi, all’alba degli anni Sessanta il Sorridente viene incaricato di riprovarci e cosí, partendo dai Fantastic Four, si avvia un nuovo universo supereroistico che raddoppia quello della DC e fa passare la Marvel da cenerentola a leader, con il suo mondo piú aderente alla realtà rispetto a quello della concorrenza, forse anche piú in linea con lo spirito dei tempi. Poi, tra alti e bassi nei decenni successivi, la casa editrice arriva tutto sommato in salute ai giorni nostri, rafforzata anche dal lato cinematografico che finalmente, dopo vari fallimenti, decolla negli anni 2000 grazie allo sviluppo degli effetti speciali che rendono finalmente credibili le traduzioni cinematiche degli eroi di carta.

domenica 9 agosto 2020

Tour de France

MILANO - Palazzo Reale: “Georges de la Tour. L’Europa della luce”. Pochi, i quadri celebri e della maturità di Georges de la Tour de France, il pittore che reggeva il moccolo. Molti quelli giovanili, di tutt’altro stile, tanto che sembrano appartenere ad un altro artista. Per giunta, anche le opere dei contemporanei che dovrebbero testimoniare l’estendersi europeo del verbo caravaggesco, sono quanto di piú scadente si potesse trovare (fatta eccezione per una splendida “Vanitas” attribuita a Gherardo delle Notti). Insomma, l’ennesima art & craft swindle meneghina.

giovedì 6 agosto 2020

la gatta frettolosa



Un instant book sugli effetti del corona virus, che però ha il difetto di essere stato talmente instant che al momento della sua pubblicazione era già superato. Il buon Paolo Giordano, infatti, scrive il suo pamphlet ai primissimi di marzo, quando la prepotenza dell’epidemia era ancora ben lungi dal manifestarsi in tutta la sua forza. Ragion per cui, le sue considerazioni sono dettate perlopiú da una certa preoccupazione, che la fantasia può proiettare giusto un po’ piú in là, ma senza poter immaginare le devastanti conseguenze materiali e psicologiche che il covid avrebbe avuto su ciascuno di noi, soprattutto qui al Nord (devastazione di cui, del resto, nessuno probabilmente avrebbe avuto voglia di leggerne, essendo troppo impegnati a viverla).

Einaudi, Le Vele, 10 euri, poche pagine.

domenica 2 agosto 2020

della o nella?




Per tutta la durata della produzione, il titolo di riferimento era probabilmente “Un giorno Nella vita”, ma resisi conto che esisteva già un film celebre degli anni Quaranta con lo stesso titolo, si è optato in seguito per il cambio della preposizione articolata. Si tratta, in sostanza, di una trasposizione lucana — precisamente nei luoghi di Melfi e dintorni — della poetica nostalgica e strappalacrime del Tornatore di “Nuovo Cinema Paradiso” e, secondariamente, di “Malena”. Salvatore, ragazzino negli anni Sessanta, che il padre cerca inutilmente di iniziare al Comunismo, è invece ammaliato dal mondo del cinema, tanto che combina un guaio che lo porterà in riformatorio e, interrogato dal giornalista interpretato da Alessandro Haber, racconterà la vicenda che diventa un grosso flashback che costituisce lo svolgimento dell’intero film. Accanto ad una schiera di attori lucani — le cui capacità si estendono tra il range che va da dignitosi professionisti, promesse mancate e gente presa piú o meno dalla strada — troviamo Haber e la Cucinotta, confinati in ruoli marginali, probabilmente per non alzare troppo i costi della produzione (il totale degli incassi, in effetti, si attesterà su poco piú di 30mila euri, fonte WPedia). Commovente nel finale, il film risente eccessivamente dei modelli di riferimento tornatoriani, il cui paragone lo svantaggia inevitabilmente, e la scarsa vocazione cinematografica dei ragazzini, che ne sono gli effettivi protagonisti, richiede allo spettatore una certa dose di sospensione dell’incredulità (non eccessiva, però).

2011, regia di Giuseppe Papasso, sceneggiatura di G. Papasso e Mimmo Rafele, musiche di Paolo Vivaldi, con Maria Grazia Cucinotta, Alessandro Haber, e vari attori (e non) lucani

domenica 26 luglio 2020

dwarf prof


Un raccontino (chiamarlo racconto è veramente troppo) dell’Enrico nazionale, avente per protagonista un prof diversamente alto che, grazie alla televisione, conosce il successo e vince perciò moralmente sulle tante angherie subite nella vita. Peccato che nelle pochissime pagine a disposizione il Ruggeri non riesca a mostrarci le sue capacità (ammesso che le abbia) di descrizione dei personaggi e dell’ambiente scolastico e di quello televisivo — che pure dovrebbe conoscere abbastanza da vicino — quantomeno un po’ meno succintamente di quanto ci proponga in questo raccontino telegrafico. Se non altro possiamo ringraziarlo per non averlo esteso a romanzo su centinaia e centinaia di inutili pagine, viste le premesse.
La Nave di Tèseo, una 50ina di paginette, 8 euri

domenica 28 giugno 2020

povero figlio


Secondo una specie di regola del contrappasso, le lettere indirizzate al figlio (illegittimo) da Lord Stanhope di Chesterfield diventano (illegittimamente) un libro, ad opera della moglie alla sua morte (del figlio), che le aveva conservate. Il Chesterfield era un rinomato uomo di stato della Gran Bretagna del primo Settecento che si sforzava, inutilmente a quanto pare, di indirizzare il figlio ad una carriera identica, quasi in continuazione con la sua. In questo senso troviamo qua un esempio precedente a quelli di Leopold Mozart o Monaldo Leopardi, altri padri celebri che con la loro presenza oppressiva hanno reso un inferno la vita dei propri figli rispettivi, sui quali proiettavano la loro ambizione, ma che hanno se non altro hanno avuto la fortuna di rendere le loro fatiche un’eredità preziosa per noi posteri, mentre del figlio di Stanhope non ne rimane traccia, se non quella di queste epistole a senso unico, giacché non si sono conservate le (poche) lettere inviate di ritorno da figlio a padre. L’Inghilterra di quel tempo era, a quanto pare, una potenza economica, ma priva di tradizioni culturali e sociali che ne nobilitassero la sua classe dirigente, ed è perciò che il figliolo in questione viene inviato a frequentare le corti francesi, germaniche ed italiane, per acquisire quei modi eleganti ed una frequentazione di personalità che ne agevolassero la carriera diplomatica. Il libro ebbe all’epoca un notevole successo, perché alle raccomandazioni da padre-padrone, il genitore unisce considerazioni — filosofiche, morali o di stile — ancora molto interessanti e a volte divertenti.

domenica 17 maggio 2020

buono ma non troppo


Torna opportunamente in circolazione, questa volta presso le edicole, il libro del dott. Silvestri, pubblicato ignaramente l’anno scorso con un titolo che è stato necessario cambiare perché in piena pandemia di corona virus sarebbe risultato grottesco e largamente piú paradossale e provocatorio di quanto si intendesse all’origine. Il Silvestri ci informava un anno fa su molte nozioni che sono venute alla ribalta in questa sventurata occasione, tipo che normalmente non è il virus ad uccidere ma, molto piú spesso, gli effetti nefasti provocati da una sproporzionata risposta immunitaria e, dato che il virus non ha lo scopo di annientare l’individuo che lo ospita, è per questo che solitamente i problemi nascono quando, a causa di uno spillover, esso si autotrasporta da una specie animale, in cui convive pacificamente, ad un’altra — quella umana, in questo caso — che è impreparata ad accoglierlo (e tante altre informazioni interessanti, anche piuttosto approfondite dal punto di vista scientifico). La bontà del virus, alla quale si riferisce il titolo originario, non è però questa appena accennata, anche perché il livello di analisi biologica, microscopico, ci porta in uno scenario al di là del bene e del male, per cosí dire. L’aspetto buono dei virus, invece, in particolare dei retrovirus, come l’HIV, del quale l’autore è specialista, è innanzitutto che il nostro DNA sarebbe composto in buona parte da retrovirus integrati nella sequenza di molecole che lo compongono, risultato dell’addizione avvenuta nel corso dell’evoluzione, e proprio per questa peculiarità di associarsi all’acido nucleico, i retrovirus possono venir utilizzati per intervenire a livello genetico, sostituendo geni malati responsabili di patologie ereditarie. L’unico neo di questo interessante libro è lo stile, che alla divulgazione scientifica vuole associare una parte “for dummies”, all’americana (il professore lavora infatti presso l’università di Atlanta), che invece di aiutare a comprendere gli argomenti per analogie piú o meno azzeccate e spiritose, come si vorrebbe proporre, non fa altro che distrarre l’attenzione.

sabato 2 maggio 2020

Karl Marx il giovane


Forse in nome dell’internazionalismo proletario, “Il giovane Karl Marx” è un prodotto partecipato da autori ed attori della provenienza piú varia (germanica, albionica, francese, ...) suggellato dalla regia di un direttore haitiano. Si narra l’incontro tra i giovani Marx ed Engels che, carambolando tra la Germania, Parigi, Manchester, Londra, etc., sviluppano le loro idee politiche a partire dal milieu socialista-utopico ed hegeliano del periodo, fino ad approdare alla Lega dei Giusti, un’associazione di stampo proletario-biblico-rivoluzionario, che indirizzeranno piú precisamente nella direzione del comunismo scientifico, e per la quale scriveranno il celeberrimo “Manifesto del Partito Comunista”, che voleva appunto essere una sorta di vangelo ad uso del movimento. Il film è ben fatto, con strizzatine d’occhio al pubblico meno engagée, e restituisce un buon quadro d’insieme della situazione sociale e dei personaggi che animavano la politica mitteleuropea di metà Ottocento, ma inevitabilmente l’intento enciclopedico tipico del bio-pic gli fa assumere le sembianze di un album di figurine, dove spuntano fuori proprio tutti (Proudhon, Bakunin, perfino Gustave Courbet, etc.). Comunque un film necessario.

2017, diretto da Raoul Peck, interpretato da varii attori perlopiú sconosciuti

martedì 17 marzo 2020

farsi una cultura


Il vero titolo di questo libro del 1956 dell’ottimo Prezzolini pensiamo avrebbe dovuto essere qualcosa che suonasse come “Farsi una cultura”, ma un claim del genere dovette probabilmente sembrare troppo saccente per essere indirizzato al vasto pubblico di quegli anni, come si capisce dal suo contenuto tendenzialmente didascalico, per cui si optò ragionevolmente per il fair play di “Saper leggere”. Infatti, dopo un preambolo teoretico nel quale l’autore ragiona brevemente sul tema di fondo della Cultura con la maiuscola, e nel quale si trovano numerose considerazioni interessanti, ci si addentra in una disamina degli strumenti fondamentali per la propria formazione culturale: libri, riviste, dizionari, traduzioni, schedari, biblioteche, antologie, enciclopedie, radio, tv, etc. Indubbiamente è un testo piuttosto invecchiato: molti degli strumenti che Prezzolini ci indica sono oggi sostituiti da Internet; tuttavia, l’intento di descrizione fondativa — quasi aristotelica diremmo — di ognuno di essi, ne enuclea le ragioni di fondo che sono valide ancora oggi, e difatti troviamo una ristampa in epoca moderna di questo volume, da parte di Edizioni Studio Tesi, nel 1988.
Il finale rivela un po’ di amarezza: di fronte alla forza della Storia, e della vita d’azione, la cultura non sarebbe che un ornamento inutile, a volte anzi ne sarebbe un ostacolo. In questo passaggio possiamo forse riconoscere (ma certamente non condividere) un’autoconsapevolezza dell’inutilità dell’intellettuale di fronte a tragedie immani quali quelle dalle quali si era appena usciti.


sabato 29 febbraio 2020

pietrogianni


BERGAMO - “Tiziano e Caravaggio in Peterzano”. Il buon Simone Peterzano si forma a Venezia a metà Cinquecento, ma si trasferisce abbastanza presto a Milano, dove sviluppa la sua carriera pittorica, tenendo a bottega il giovane Caravaggio. Un autoritratto in età matura che reca la dicitura “Titiani alumnus” la dice lunga sulla mediocrità di un maestro ormai attempato che ha ancora bisogno di accreditarsi per meriti altrui. In realtà, sulla base di quanto ricostruito della sua opera nell’attuale mostra bergamasca, nei suoi quadri troviamo riferimenti a Tiziano, per quanto riguarda alcuni soggetti, ma soprattutto a Veronese, per la composizione, e al Tintoretto, per alcuni celebri scorci anatomici che devono aver colpito il Nostro nella sua permanenza nella città lagunare. Per analogia contraria, Caravaggio invece pare non abbia mai pensato di presentarsi come Peterzani alumnus dopo essersi trasferito a Roma, avendo già superato il maestro in capacità ancora prima di avviare la sua epocale rivoluzione figurativa. Come il maestro, però, porta nella sua opera le tracce della sua formazione, lombarda: nella Deposizione riconosciamo lo stresso braccio cadente del Cristo della pala d’altare omologa di Peterzano in San Fedele di Milano, oppure la mostra ci propone uno studio di sibilla tratto dal fondo del Castello Sforzesco nel quale si può ravvisare un calco caravaggesco del braccio utilizzato per il Bacchino malato. Ma il Merisi era sicuramente un tipo curioso, interessato anche alle invenzioni di altri pittori milanesi, perché troviamo testimonianza diretta del tema compositivo della prima versione, distrutta, del San Matteo e l’angelo in un dipinto corrispondente, di qualche decennio prima, del Figino, tuttora nella chiesa di San Raffaele a Milano, per esempio, cosí come siamo certi di non ingannarci se della figura preminente del cavallo della Conversione di Saulo individuiamo delle reminiscenze nel quadro centrale di Antonio Campi della chiesa di San Maurizio al Monastero maggiore. E ci fermiamo qui, considerando che le suggestioni venete del Peterzano sono rimaste tra gli esiti migliori della sua mediocre pittura, mentre le influenze milanesi del Caravaggio si confondono tra tante altre componenti che si trasfigurano nell’opera magistrale di un artista autentico.

“Venere e Cupido con due satiri” (1568-70), olio su tela, cm 135 x 207, Pinacoteca di Brera, Milano

mercoledì 1 gennaio 2020

the bomb


La prima metà de “La bomba” di Enrico Deaglio si concentra sulla figura di Giuseppe Pinelli e sulla ricostruzione e lo smontaggio del teorema anarchico, che attribuiva a Valpreda la responsabilità della strage della Banca dell’Agricoltura di Milano, secondo un depistaggio pianificato da tempo con la collaborazione di ex-repubblichini riciclatisi ai vertici delle istituzioni italiane, che cosí coprivano la vera origine neo-nazistica dell’attentato, opera di Freda, Ventura, Carlo Maria Maggi, etc., che però Deaglio ci descrive con minore acribia rispetto alla prima parte assolutoria degli anarchici, ed è un vizio di forma e di sostanza di questo libro. Una seconda pecca veniale è la frettolosità della sua realizzazione, che si concretizza in svariate ripetizioni e appunto nel disequilibrio della struttura complessiva, una frammentarietà che si dipana via via verso la fine. D’altra parte il suo pregio è quello di non limitarsi ad una fredda ricostruzione di fatti e di atti giudiziari, ma di rievocare il contesto e il paesaggio culturale dell’epoca, riportando alla memoria personaggi, films, documentari televisivi, libri ormai dimenticati e ai quali è lasciato al lettore il piacere della riscoperta.

Einaudi 2019, pagg. 300, 18 euri